Nori de’ Nobili, Ritratto della sorella (part., 1929).
7 domande a Giulia Ciarapica
Ricordo bene i primi passi di Giulia Ciarapica come critica letteraria, o book blogger, come si usava dire una dozzina d’anni fa. Già a quel tempo, la giovanissima Giulia aveva compreso che in rete si poteva e doveva parlare di libri, e non soltanto di cucina e moda. Negli anni, il suo giro di compasso si è allargato a dismisura: ha varato un ricchissimo blog, collabora con testate di prestigio (Il Foglio) e con le Scuderie del Quirinale, tiene corsi per insegnare ai ragazzi come si scrivono recensioni. Dopo essersi occupata dei libri degli altri, ecco due romanzi intensi – Una volta è abbastanza (Rizzoli 2019) e Chi dà luce rischia il buio (Rizzoli 2022) – che raccontano la provincia italiana, la memoria familiare, il coraggio delle radici, la produzione di scarpe tipica della sua regione, le Marche. Ha scritto anche un graphic novel, Come se non fossimo stati, illustrato da Michela Di Cecio. Insomma, nel segno del libro Giulia Ciarapica ha esplorato parecchie strade. E noi gliene siamo grati.
Giulia, ti puoi presentare con 7 aggettivi?
Prepotente, solare, lunatica, intraprendente, dinamica, egocentrica, altruista (incredibile, credo di essere riuscita a descrivermi davvero in sette aggettivi, nonostante sia logorroica).
Esporsi tanto ai libri ha delle controindicazioni?
Crisi esistenziali come se piovesse, temo. Anche perché un buon libro uccide, spesso. Nel senso che uccide quello che credevi di sapere e ti impone di cercare qualcosa di nuovo. D’altronde, la letteratura è tutto quello che sappiamo su ciò che viviamo. Quel che viviamo è l’unica cosa che abbiamo, così come possediamo la morte, dopo. Per quello la letteratura parla molto anche di ciò che non si vede (più).
Nori de’ Nobili, Bice con abito rosso (part.,1928).
Come individui il punctum di un romanzo?
Come lettrice, ormai è abbastanza semplice: è esattamente l’anomalia (che s’insinua in una logica perfetta, quasi stringente, e che per questo a un lettore meno allenato potrebbe non risultare tale) che preannuncia il cambio di passo. Non tanto un evento o un personaggio dal comportamento inatteso, quanto un singolo, insignificante dettaglio. Quindi, come autrice, ti direi: tanto per rifarmi a uno dei miei scrittori del cuore, Massimo Bontempelli, il punctum è per me l’ombra che attraversa il cielo in un assolato primo pomeriggio d’agosto – quella stessa ombra che avvolge il corpicino di Mario, protagonista del romanzo Il figlio di due madri, nel momento in cui attraversa lo spazio temporale che lo divide dall’ora esatta in cui è nato. È da quell’attimo in avanti che si incarnerà in qualcun altro, un bambino morto sette anni prima, mentre lui veniva al mondo.
Letteratura breve e brevissima: come la vedi?
Ce l’ho molto con la letteratura breve perché ne leggo parecchia e non mi riesce mai. Ammesso e non concesso che sappia scrivere, beh, di sicuro sono incapace di misurarmi con questa forma, che credo sia l’espressione massima del talento letterario: poche battute, poche pagine, il filo della tensione dosato al meglio per non appesantire e per spiazzare. Decisamente una delle forme che prediligo come lettrice.
In Italia si pubblica troppo: come difendersi?
Premessa: leggo molti libri – troppi per lavoro e che non sempre mi soddisfano – ma quelli che scelgo autonomamente (e che rileggo, anche) sono i veri libri di cui mi cibo. Mangio già tanto di mio, dolci soprattutto, non mettiamoci anche i libri altrimenti è finita. Insomma: ci si difende leggendo molto, possibilmente anche rileggendo ciò che ci ha fatto del bene (e quindi anche del male). Impiegare il tempo nella lettura ci distrae dallo scrivere e soprattutto ci potrebbe far venire qualche dubbio legittimo e sacrosanto (e auspicabile): serve davvero che scriva qualcosa anche io, pure se non ho niente da dire?
Davvero si può imparare a scrivere recensioni?
Sì, certo. Non s’impara lo spirito critico, che è diverso, ma io non ho quell’ambizione, insegno solo un metodo che è prima di tutto una tecnica di lettura, e solo dopo diventa recensione. Per recensire, è necessario un equilibrio nel giudizio, che è composto da una parte “irrazionale”, ovvero personale (mi è piaciuto perché, non mi è piaciuto perché), e da una parte “oggettiva”, perciò occorre conoscere almeno alcuni degli strumenti fondamentali della narrativa. E poi una cosa a cui tengo molto: non ci si affeziona mai ai personaggi, non ha senso. I personaggi devono funzionare, non devono piacerci solo perché hanno compiuto scelte, o hanno assunto atteggiamenti, che reputiamo validi. Fuori la morale da qualunque giudizio letterario.
Le voci dialettali guidano la tua scrittura?
Sì, o perlomeno finora è stato così. Parlo moltissimo il dialetto, sono una che tende a rubare anche le inflessioni dialettali altrui, e credo che l’espressione linguistica locale sia la sola, l’unica veramente autentica. Non so se l’origine è la meta, come dici tu. All’inizio credevo fosse così, oggi ti dico che la meta è la linea immaginaria cui tendo mentre inseguo l’origine.
Grazie infinite, Giulia. Per la colonna sonora ho pensato al tuo conterraneo Rossini. In particolare, all’ouverture de L’inganno felice. Mi pare che inganno felice sia la definizione migliore per la letteratura. Non trovi?
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