Paul Klee, In stile di Kairouan, moderato (part. 1931).
7 domande a Mario Postizzi
Avvocato e giurista di lungo corso, e Presidente della Fondazione dell’Orchestra della Svizzera italiana, Mario Postizzi è una delle voci più originali della scrittura aforistica contemporanea. Ticinese, coltiva la parola come esercizio di rigore e libertà, decisamente alieno da ogni tentazione oracolare. Ha pubblicato tre volumi a 7 anni di distanza l’uno dall’altro – indizio di qualità – e tutti con Aragno – indizio di fedeltà: Hommelettes (2007), vincitore del Premio internazionale per l’aforisma Torino in Sintesi, Una lama tra le nuvole (2014) e Aforismi tra la vita e la morte (2021). Vista la periodicità della sua produzione, che ricorda quella di certe comete, il prossimo libro di Postizzi lo prevediamo per il 2028; nell’attesa, godetevi questa intervista e gli aforismi che lo scrittore ticinese ha personalmente scelto per noi del 7Parole. Il pdf, intitolato Segni di gesso, lo trovate nella sezione Il mio profilo, alla voce Biblioteca 7Parole.
La sua professione è l’osservatorio privilegiato?
Direi proprio di sì. D’altronde l’attività di un avvocato pone al centro la parola scritta o orale. Per la precisione, si parla di concetti che entrano in relazione e determinano la necessità di interpretazione e precisione. La cura del linguaggio è indispensabile, a maggior ragione, nella scrittura letteraria. In relazione agli aforismi, che sono de-limitazioni, si deve favorire la concisione, la compattezza e il risparmio delle parole, da ridurre al minimo indispensabile. In gioco, quasi sempre, ci sono le grandi parole, ad esempio la verità o la giustizia. L’osservatorio forense non le considera valori assoluti bensì relativi. Trova spazio il dubbio e la fatalità dell’errore, in un contesto di discussione e di contradditorio. La tensione risalta pure nella scrittura breve: l’aforisma è una prova di tenuta. Nel “tagliar corto” e nel “non dire tutto”, si fa strada l’approccio essenziale e rigoroso. Non si tratta di mirare a un’esattezza che non lasci resti. Come nel diritto, negli aforismi non disturba l’ambiguità e la vaghezza, da considerare come respiri di libertà nel processo di chiarificazione.
L’esercito svizzero è di milizia. Nel tascapane è presente il “coltellino svizzero”, piccolo oggetto schivo al punto di escludere violenza. Il frammento è, per definizione, minuto. Vorrei inserire un mio pensiero: Quando si legge un frammento, un occhio si occupa della scrittura e la lente d’ingrandimento dello spazio bianco. L’idea di fondo è rendere piccole le cose. La pagina della scrittura breve si riduce a cartolina. Nello spingere l’argomento all’estremo, lo spazio non è più un ampio giardino ma una semplice aiuola. A proposito della clessidra, mi piace far risaltare lo scorrere del tempo, con i suoi ritmi e ribaltamenti. Il tempo incalzante e inesorabile lo si ritrova in un recipiente che potrebbe rappresentare, in modo simbolico, l’espressione aforistica. Una manciata di pensieri si cala nei rovesci agitati e ripetuti dalla clessidra.
Il pensiero taglia e la scrittura cuce?
Mi piace l’immagine del sarto che taglia e cuce. D’altronde, per l’occasione ho intitolato Segni di gesso la breve raccolta dei miei aforismi. Uno scrittore russo descrive Dante come un sarto che stia infilando l’ago. Nello sviluppo aforistico, l’esigenza di mettere a nudo (come la clessidra che si ribalta) sembrerebbe proporre un approccio di segno opposto. Nella realtà emergono più passaggi comuni: ridurre, accorciare, ritagliare, con un’attenzione visiva ed estetica. Anche in un aforisma si deve fare in modo di far cadere bene la giacca. Abbiamo una collezione letteraria (un libro di aforismi o una collana di opere letterarie) e una collezione di moda. Come avvocato voglio far presente che sarto deriva da sarcire, riparare, aggiustare o rappezzare. Viene facile menzionare la parola risarcimento, con il significato di ricucire uno strappo, una ferita, dunque compensare un danno arrecato. Se poi veniamo alla parola decisione, siamo confrontati con il taglio netto del giudice nel litigio tra due parti. Viviamo in un’epoca tartassata e violenta. Un autore francese, maestro dell’essenzialità e della profondità, affermava di scrivere tenendo il fucile in mano. Per non allungare troppo il percorso, al centro dei miei pensieri sta la pointe, la scrittura acuminata. Si torna alla lama di un coltello più profilato rispetto al coltellino svizzero. Pessoa sottolineava la necessità di conficcare spilli nell’anima del lettore.
I suoi aforismi li prende per mano?
Prediligo la scrittura a mano. Si tratta di procedere lentamente. Sembra quasi che la mano si stacchi dal cervello e proceda a modo suo. Questo metodo poco attuale favorisce la memoria e lascia traccia per un ricordo futuro. Mi capita spesso di ricopiare a mano passaggi di libri.
Un aforisma è inevitabilmente perfido e sferzante?
Credo sia stato Giorgio Manganelli a porsi la domanda sul diritto di scrivere tutto o di smussare le punte più crudeli. Un aforisma non è inevitabilmente perfido e sferzante, bello o brutto. Nel mio caso cerco di non forzare la mano. La mia scrittura breve non è luogo di guerra, di polemica, di rivoluzione o di invettiva. Nemmeno di giudizio etico. Quando eccedo, di rimbalzo, favorisco la leggerezza espositiva. L’ironia serve per stemperare la mente affilata. A volte, mi muovo a scoppi ritardati: l’effetto sorpresa balza fuori dopo che si è preparato il terreno. Cerco di evitare le approssimazioni e le battute di spirito.
Paul Klee, Fragmente (1937).
Aforismi e microracconti: amici, nemici, semplici conoscenti?
Mi considero un brevilineo e, dunque, preferisco parlare di una scrittura breve che non si misura sul numero delle parole, ma sulla consistenza e compattezza linguistica di un pensiero. Ricordo che si parla persino di prosa e romanzi aforistici. Ad esempio, con riferimento a Marcel Proust, vengono estrapolati passaggi che, con cammino autonomo, diventano puntuali aforismi. Non vedo nemici, con una coerenza da coltellino svizzero. Semmai, mi piace l’immagine di aria di famiglia, per usare le parole di Wittgenstein e di Canetti.
La sua biblioteca: autori “lunghi”, autori “brevi”.
Mi considero un bibliofilo. La mia biblioteca, con migliaia di libri, esprime una biografia con i miei interessi. Sono molto curioso e non sempre ordinato. Prediligo la saggistica, la filosofia e la poesia. Opto decisamente per autori “brevi”. Non è facile indicare gli autori preferiti. Direi, con riferimento alle nazioni confinanti, René Char in lingua francese; Paul Celan in lingua tedesca. Se penso all’Austria, direi Robert Musil. Per rimanere nel ristretto quadro aforistico italiano, partirei da Ennio Flaiano. Con un rapido ritorno in Svizzera, faccio il nome di Robert Walser. Sconfinando nell’arte, mi piace fare il nome di Paul Klee, anche perché, con le sue miniature, insisteva sul pensare strettamente legato alle immagini. Amando le piccole cose che danno calore e spessore, non posso dimenticare Giorgio Morandi.
Grazie infinite, Mario. Sono stato parecchio indeciso su quale colonna sonora affiancare alla sua intervista. Alla fine ho scelto una composizione di Nietzsche: perché autore di aforismi, certo, e poi per il prolungato soggiorno in terra elvetica. Non da ultimo, per il titolo del brano: Il frammento in sé.
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