Chi scrive, il personaggio o lo scrittore?

Henry James (1843-1916). Uno dei suoi romanzi più noti è Ritratto di signora.

«La prima cosa che lo scrittore inventa è il personaggio che scriverà le sue opere», ci avverte Nicolás Gómez Dávila, icastico e illuminante come sempre: lo scrittore non scrive, è scritto dal personaggio che egli stesso ha ideato. Sembra un paradosso, ma è il segreto del mestiere. Perché scrivere significa innanzitutto trovare la voce adatta a quel tipo umano che ci siamo figurati. Lo “scrittore” è colui che presta la voce a un fantasma tanto reale da sopravvivergli.

Riprendendo un’affermazione di Henry James, Giorgio Agamben ribadisce il medesimo concetto in chiave poetica: all’origine del romanzo non c’è una trama, ma una ’“immagine disponibile”, una figura che attende, silenziosa, di essere narrata. Non è ancora personaggio, ma possibilità pura. L’autore la osserva, se la rigira tra le mani, e solo intrecciando attorno a essa situazioni, relazioni, inciampi, la costringe a venire alla luce. Ma attenzione: ogni pagina scritta toglie qualcosa a quell’immagine, ne riduce l’ambiguità, diminuisce le possibilità. Il personaggio nasce e via via si consuma. Alla fine, non è più disponibile: è diventato storia, e quindi destino.

Così funziona la creazione letteraria: l’autore plasma un personaggio che possa “sopportare” la trama, in un certo senso sopravvivere al racconto. E che, nel farlo, si determina come autore. Insomma, ogni vero libro è la storia di un personaggio che s’impone. E lo scrittore? È già scomparso tra le righe.

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