Kafka l’eroe, i Moschettieri la scintilla

13/12/2024
Antonio Calderara, Milano. Il Naviglio (1928).

7 domande a Giorgio Fontana

Tra narrativa e saggistica, Giorgio Fontana ha al suo attivo dieci libri. Nel 2014 ha vinto il Premio Campiello con il romanzo Morte di un uomo felice, mentre la sua opera più recente è il saggio Kafka. Un mondo di verità (Sellerio, 2024). Oltre a scrivere articoli e saggi per numerose testate nazionali e internazionali, si è anche cimentato nella sceneggiatura di storie per Topolino. Insomma, Giorgio ha talmente tanti interessi che, se la vena si esaurisce da una parte, lui comincia felicemente a scavare dall’altra. Convinto che si debba prima leggere parecchio e bene e poi scrivere poco, o meglio quanto basta, insegna scrittura da oltre quindici anni. Al momento collabora con la Scuola Belleville.

Giorgio, iniziamo sul facile. Carta d’identità?

Nato a Saronno nel 1981, cresciuto a Caronno Pertusella (appena sotto Saronno). Ho fatto vari lavori — per anni sono stato content manager presso un’azienda informatica — e oggi sono uno scrittore, insegnante di scrittura e sceneggiatore di fumetti. Ogni tanto collaboro con qualche giornale o rivista. Suono la chitarra (da ragazzo ero in un gruppo hard rock con il mio migliore amico — lui però è un chitarrista vero). Mi piacciono gli scacchi, la montagna, correre, la musica e naturalmente leggere. Vivo a Milano con mia moglie e mia figlia. Sono interista. Di piede ho il 42. Da ragazzino ho fatto judo per anni. Sono quasi vegano. Faccio volontariato da diverso tempo con i senza dimora. Sono molto stonato.

Kafka è l’innesco della tua vocazione?

A dire il vero no. Ho scoperto Kafka attorno ai sedici, diciassette anni; ma già leggevo molto e già avevo iniziato a scrivere (cose terribili, com’è ovvio). Se di vocazione vogliamo parlare — un termine abbastanza impegnativo — tornerei ancora più indietro: al ragazzino che leggeva estasiato I tre moschettieri pensando “Anch’io, anch’io voglio raccontare questa storia!”; o al bambino delle elementari che buttava giù una rappresentazione teatrale da portare in classe; o ancor prima, a inventare storie con mio padre. Storie e parole: mi accompagnano da così tanto tempo che non saprei rintracciare il momento dell’innesco. Di certo però Kafka è il mio eroe letterario — tutto ciò che dovrebbe essere uno scrittore. Anche se ho parecchi autori prediletti: ad esempio amo moltissimo Stig Dagerman, a dirla tutta mi ha scombussolato l’esistenza. E poi dovrei ricordare perlomeno Proust, Stendhal, Joseph Roth, Virginia Woolf, Beppe Fenoglio, Paola Drigo, Nina Berberova eccetera eccetera.

Ti occupi sempre dei dintorni dell’esistenza?

Ah! Mi hai commosso. (La domanda è una citazione che possiamo capire solo io, te e pochissimi altri. A beneficio del pubblico: c’entrano il mio primo romanzo, un titolo sbagliato e un pensiero a me più caro). Risposta: sì. Non amo la retorica dei margini, che spesso viene praticata da chi i margini non li conosce affatto; né voglio fingermi più “cane sciolto” di quanto in realtà sia. Però sì, ho una fascinazione intellettuale ed esistenziale per ciò che cresce ai dintorni di quanto viene gridato nel bel mezzo della piazza. Detesto il narcisismo. Sono sempre stato attratto dalle personalità dimesse, che si sentono bene lontano dal centro della scena: per pudore e perché ritengono che la priorità non sia il loro ego o il potere, bensì fare le cose come si deve.

Il più recente libro di Fontana è dedicato a Kafka.

Dialoghi o litighi con i tuoi personaggi?

Dopo averli inventati cerco di capire cosa vogliono e come farli comportare nel modo più naturale possibile. Non mi piace piegarli a forza a esigenze di trama o — Dio ce ne scampi — a esigenze extra-letterarie. Certo occorre un controllo ferreo sulla struttura, sapere bene dove si sta andando quando si scrive; ma è anche vero che scrivere, almeno per me, ha un aspetto di navigazione in mare aperto. Sai dove parti, più o meno sai dove vuoi arrivare e come fare, la rotta è tracciata, ma spesso capitano imprevisti: un blocco, un problema di difficile risoluzione, oppure anche un personaggio che pensandoci su si rivela differente da quel che pensavi.

Come te la cavi coi racconti brevi?

Male, male. Ho bisogno di un certo spazio per sviluppare le mie storie, approfondire i temi che mi interessano, dare respiro con le descrizioni e così via. Ho scritto romanzi anche molto brevi — Il Mago di Riga è una novella, di fatto — ma coi racconti di poche pagine ho smesso da tempo. Proprio non è il mio. Non ritengo di essere uno scrittore prolisso, peraltro; semplicemente, per la brevità ci vuole una capacità particolare che non posseggo. Una certa noncuranza, se vuoi, nei confronti dello sviluppo: il talento di gettare un’occhiata rapida ma pregnante a una vita, condensando al massimo il linguaggio nello stesso tempo. Non è facile. Con sette parole, poi, andrei nel panico!

Antonio Calderara, Senza titolo (Piazza del mercato ad Orta, 1929).

L’asino è l’animale del cuore?

Assolutamente sì. È un animale meraviglioso, sfruttato senza ritegno e per di più divenuto suo malgrado il simbolo della stupidità o persino dell’emarginazione. Tutto falso: come scrive Jill Bough nel suo bel libretto L’asino, questi animali sono «operosi, fedeli, amichevoli, simpatici, giocoso, gentili e desiderosi di imparare; altri ancora scrivono della loro nobiltà, umiltà e saggezza». E contrariamente al luogo comune sono molto intelligenti, oltre a essere dei maestri di resistenza nonviolenta: la loro testardaggine è in realtà una forma di diserzione nei confronti di un comando che ritengono inaccettabile. Non gli vanno giù i prepotenti. La loro delicatezza li rende ideali per la pet therapy: i percorsi degli asini con persone diversamente abili e autistiche danno risultati straordinari. Insomma, hanno tutte le caratteristiche che amo in un essere vivente. (Come immaginerai, detesto invece i cavalli).

Ma davvero si può imparare a scrivere?

Sì, però bisogna intendersi. All’inizio di ogni corso di scrittura — ne tengo di ogni sorta da quindici anni, dalle università alle scuole specializzate ai centri sociali alle carceri alle scuole dell’obbligo — dicevo: all’inizio di ogni corso spiego che vi sono alcune cose insegnabili, e altre no. Fra le prime: come si gestisce una trama; come si struttura un dialogo; come migliorare il proprio stile; come, soprattutto, leggere “con gli occhi dello scrittore” e apprendere da quelli bravi. Fra le seconde direi il talento naturale, la curiosità, la determinazione, l’amore per le parole: al limite è possibile stimolarle. Siccome non vendo fumo e credo molto nella responsabilità dell’insegnante cerco di essere chiaro su tutto questo. Tanto mi irrita la retorica della scrittura come mero dono dall’alto quanto l’entusiasmo farlocco di chi pensa che bastino dieci lezioni per trasformare chiunque in uno scrittore. Al di là delle ambizioni artistiche, peraltro, si può scrivere narrativa per altre ragioni non meno nobili, anzi: per gioco, per divertimento, per piacere. Ho partecipato come volontario a tanti laboratori di scrittura per bambini, principalmente quelli organizzati dalla Grande fabbrica delle parole, e ogni singola volta ne uscivo grato e arricchito. È anche un modo per ritornare alle fonti cui ogni narratore, anche professionista, dovrebbe abbeverarsi: l’incanto elementare di inventare una storia.

Grazie infinite, Giorgio. Visto che da qualche settimana una piccola principessa ti tiene sveglio la notte, beh, quale migliore colonna sonora di questa?

Questo non è Giorgio Fontana. Grazie, Antonio.

A cura di Claudio Calzana

6 commenti a questo articolo

  1. Janna Carru ha detto:

    Molto bello quando racconta che sono i personaggi appena nati, a scegliere la strada da percorrere e la propria storia.
    Come un padre che dà la libertà ai propri figli.

  2. Cristina C ha detto:

    Lavoro nei dintorni dell’esistenza. Amerei scriverne.

  3. Tiziana Tì ha detto:

    Bellissima intervista e bellissimo scrittore. Emergono chiaramente talento e umiltà, ovvero piedi ben piantati in una terra fertile. “Leggere bene e scrivere poco”, insieme all’amore per il filosofo asino, rappresentano un biglietto da visita di pregio.

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