Con le parole si fanno i miracoli

24/10/2024
René Magritte, La corda sensibile (1960).

7 domande a Doriano Zurlo

Doriano Zurlo è uno tra i più stimati copywriter italiani. Nel 2023 ha mandato in stampa un libro splendido fin dal titolo: Con le parole si fanno i miracoli, Cesati editore, una miniera di spunti e riflessioni per chi, come noi, ama le parole. Abbiamo rivolto a Doriano 7 domande di 7 parole ciascuna, e lui ci ha schiuso la porta del suo laboratorio di scrittura. E non solo quello.

Doriano, iniziamo dalla tua carta d’identità.

Nato a Torino, genitori provenienti dai monti Alburni, sull’Appennino campano, sposato, cinque figli ormai grandi, in passato copywriter per grandi network pubblicitari, oggi freelance per quegli stessi network; appassionato di arte, scrittura, musica, ex-grafico, articolista per Vita, il più bel mensile italiano, e Lingua Italiana di Treccani, la più bella rivista online del mondo. Autore di Con le parole si fanno i miracoli, per Franco Cesati editore. Faccio anche un po’ di musica, ma in modo dilettantesco. Raccolgo i risultati su un canale YouTube. In modo meno dilettantesco, ma soprattutto divertito, gioco con le parole, insieme ad altri, su Babelot.

Collaborazioni e progetti ai quali tieni maggiormente?

Eh. Bella domanda. Ho la fortuna di collaborare, su qualche progetto, con creativi di fama internazionale. Questo è un aspetto del mio lavoro che mi piace, perché lo rende sempre nuovo. Ogni giorno imparo qualcosa, anche se sono tanti anni ormai che faccio il copywriter. Ho poi un po’ di idee che con la pubblicità non c’entrano ma che vorrei realizzare. Un libro di pratica, con esercizi, per chi si avvicina al mestiere del copywriter. Avrei anche un progetto narrativo, ma su quello sono un po’ più freddo. C’è già tantissima narrativa in giro, forse non è il caso di aggiungerne altra… Un altro progetto a cui tengo molto, ma che non c’entra né con la scrittura né con la creatività in genere, è quello del MEAN, il Movimento Europeo di Azione Non Violenta, promotore dei corpi civili di pace che intende farsi portatore di proposte di pace che inizino dal basso, dalle relazioni tra i popoli, visto che nell’alto della politica si riesce solo a scannarsi.

Il libro per chi lo hai scritto?

Inizialmente voleva essere un libro per studenti universitari. E in qualche modo lo è. Perché nasce dai laboratori che ho tenuto per un po’ di anni all’università di Urbino, nella sede di Pesaro, agli studenti dei corsi di comunicazione. L’aspetto pratico-didattico però, a un certo punto è passato in secondo piano. Ha lasciato il posto, per così dire, ai sentimenti. Ha prevalso l’amore per la parola come oggetto in sé, l’ammirazione per il dono del linguaggio che diamo per scontato, ma che scontato non è. L’universo potrebbe tranquillamente esistere, e continuare ad esistere, senza linguaggio. E dunque senza quel livello della natura che diventa coscienza della natura stessa. Un bel mistero, no? Affascinante più di ogni cosa. Solo un positivismo particolarmente ottuso può non rendersene conto. Io credo che il libro sia piaciuto anche per questo, perché intercetta uno stupore di cui tutti siamo, poco o tanto, consapevoli.

Una porzione della copertina.

Il titolo ha 7 parole! Un caso?

Non le avevo mai contate, lo scopro ora! Ma il numero 7 è speciale, no? Gesù dice che bisogna perdonare settanta volte sette, che è un modo per dire: sempre. Allora forse i titoli di sette parole, come i racconti di sette parole, sono destinati a durare per sempre? O hanno dentro qualcosa di eterno, intrinsecamente per il solo fatto di essere formati da sette parole? Chi lo sa. Ricordo che l’editor, a un certo punto, mi aveva chiesto se la “i” nel titolo doveva rimanere o era un refuso. Se l’avessi tolta sarebbe diventato un titolo di sei parole: Con le parole si fanno miracoli. Ma il significato sarebbe stato completamente diverso. Più banale, e anche più pubblicitario. Del tipo: ecco un prodotto che fa miracoli! Invece con la “i” quel titolo assume un significato un po’ diverso, più ampio. Perché la locuzione “Fare miracoli”, alla fine, è un luogo comune, è un modo di dire e come tutti i modi di dire è svuotato o perlomeno indebolito. È un’iperbole che di iperbolico non ha più nulla. Fare “i” miracoli, invece, è qualcosa di più, vuol dire parlare di miracoli veri, non di miracoli metaforici. E c’è bisogno della “i” perché i miracoli non sono mai generici, sono degli eventi precisi, sono tante “i” che puoi descrivere e contare. Insomma, alla fine è rimasto un titolo di sette parole e questa mi sembra una bella coincidenza.

A un certo punto parli di noi…

Nel libro? Sì. Avevo partecipato al torneo dei racconti in 7 parole. L’idea mi era piaciuta parecchio. Era piuttosto affine a certi esercizi che davo agli studenti universitari, quando li invitavo a scrivere con poche parole e a cercare dei particolari effetti dentro quelle poche parole. Ma “effetti” non è la parola giusta, dà l’idea di qualche specie di trucco. Il punto è che una frase può contenere molto poco, solo sé stessa, e un’altra frase, con lo stesso numero di parole, può contenere un mondo intero. Qui accade qualcosa di enorme che è, per l’appunto, il miracolo del linguaggio. Perché in partenza le parole sono tutte sullo stesso piano. Proviamo ad assegnare lo stesso peso a ogni vocale e a ogni consonante. Frasi con lo stesso numero di parole dovrebbero avere lo stesso peso. Com’è che una pesa 20 e un’altra pesa 2000? Nell’idea dei racconti di sette parole ho trovato qualcosa di molto affine a questo ragionamento. Sempre di sette parole si tratta, che però, ordinate a nostro modo – un modo che non sarà mai quello di chat GPT – assumono di volta pesi diversi.

Definisci la parola «la nostra metafisica portatile».

Come apriamo bocca siamo fuori dalla materia. Siamo oltre la fisica. Trasportare un significato attraverso dei segni ci mette immediatamente in un ordine delle cose che non è più solo materiale. Siamo proiettati oltre il mondo fisico, automaticamente, nel momento in cui diciamo: passami il sale.

René Magritte, L’infinito riconoscimento (1963).

Come si diventa copywriter? Natura, scuola, disciplina…

Non saprei dirlo con precisione. Passione, certamente. Poi, talento. E infine, ma forse in primis: pazienza. La pazienza è la dote che serve più di qualsiasi altra. Perché il regno della parola è un regno nel quale chiunque crede di essere re. È una cosa tutto sommato comprensibile. Tutti parliamo. E non serve essere laureati per parlare correttamente. Bastano un po’ di curiosità e un po’ di lettura. Il linguaggio è l’unica arte che impariamo senza sforzo. Ciò che è impossibile agli altri esseri viventi – far diventare un sistema di segni condiviso una sintassi capace di riprodurre significati infiniti – per l’essere umano è la cosa più naturale del mondo. Così è del tutto normale che nel mondo della comunicazione e delle aziende che investono i loro soldi in pubblicità, tutti si sentano di dire la propria su ciò che andrebbe scritto. A volte (raramente!) hanno pure ragione, peraltro! Ci vuole molta pazienza. Magari lavori a un progetto per tre mesi e poi la frase più bella, quella che fa svoltare la campagna, la pronuncia il tuo art director e non tu che ti sei scervellato per mesi… Insomma, ci vuole tanta pazienza. E poi naturalmente tutte le altre cose usuali: letture, scuola, disciplina, attitudine, curiosità, fortuna…

Grazie infinite, Doriano. Per chiudere in musica, tra le tue composizioni ho scelto Valzer dei trapezisti. Lo dedicherei a chi, con le parole, volteggia e osa.

Questo non è Doriano Zurlo. Grazie, René.

4 commenti a questo articolo

  1. Soul ha detto:

    Super! Niente di piu’ bello di un’intervista per conoscere realmente una persona o un personaggio! Ottima idea! Il primo appuntamento me lo sono sorbita tutto in un fiato! Continuate cosi’! Mitici!!!!!!🥰🥰🥰🥰

  2. Marilù ha detto:

    Interessante la nuova rubrica “7 domande a….”
    ….perché non si finisce mai di conoscere….

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