Da Voltaire a Totò, senza dimenticare Kant
Voltaire consumava una quarantina di caffè al giorno, Balzac arrivava addirittura a cinquanta: gli serviva parecchia energia per onorare i contratti che firmava con gli editori. Consigliava poi di ingerire caffè macinato a stomaco vuoto. In questo modo, scrive, «il plesso si infiamma e lancia fiamme fino al cervello. Da quel momento, tutto diventa agitato. Le idee marciano come battaglioni di un’armata verso un leggendario campo di battaglia, e la battaglia infuria. Le memorie caricano, con alti vessilli scintillanti; la cavalleria della metafora dispiega un galoppo magnifico; i bersaglieri sparano a vista; forme, ombre e personaggi si impennano; la carta si riempie di inchiostro: inizia il lavoro notturno che termina con fiumi di acqua nera dopo che la battaglia è stata aperta da quella nera polvere». Insomma, il caffè si fa inchiostro e si riversa sulla pagina.
Negli ultimi anni della sua vita Immanuel Kant aveva una ossessione per il caffè. Ricorda de Quincey che il professore esigeva «il caffè “all’istante”, “in un attimo”. E le sue espressioni di impazienza, pur mantenendo l’usata gentilezza, erano così vivaci e avevano un tal carattere di infantile naiveté che nessuno di noi poteva trattenersi dal sorridere. Ben sapendo che cosa sarebbe successo, avevo cura che tutto fosse predisposto: il caffè era già macinato; l’acqua era sul fuoco e, nel momento stesso in cui la parola veniva pronunciata, il suo domestico partiva come una freccia e immergeva il caffè nell’acqua. Non rimaneva dunque altro che dare all’acqua il tempo di bollire. Ma questo minuscolo ritardo sembrava a Kant intollerabile. Se si diceva: “Caro professore, il caffè sarà servito in un attimo”. “Sarà,” rispondeva “ma proprio questo è il punto dolente, che soltanto sarà: Mai l’uomo è felice, ma sempre lo sarà”».
E se Kant faceva lezione di etica a partire dal caffè, Totò spiegava l’economia capitalistica armato di una tazzina e una zuccheriera.
Per la sua lezione a Peppino, Totò abbonda con lo zucchero; ebbene, secondo i titolari del ristorante Da Mimmo di questi tempi sempre più italiani preferiscono il caffè amaro, e perdipiù ristretto. Mentre i turisti lo chiedono in genere lungo, americano, e con l’acqua a parte. Paese che vai…
Ricorda, hai tempo fino al 16 giugno per inviare racconti dedicati al caffè.
CON IL RISTORANTE
da Mimmo
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