Il caffè tra musica, lettere e teatro
Diffuso in Europa grazie ai Turchi, nel Secolo dei Lumi il caffè diventa una moda, con una miriade di botteghe a segnalarne il favore. Nel 1732 persino l’austero Bach compone un’opera dedicata al caffè. Si intitola Fate silenzio, non chiacchierate e viene eseguita per la prima volta al caffè Zimmermann di Lipsia.
Nella cantata si narra di una fanciulla capricciosa che non accetterà alcun marito se questi non le lascerà consumare l’aurea bevanda ogni volta che lo desidera. Il caffè, canta, è «più dolce di mille baci». Il lieto fine è scontato: tutti i personaggi si alternano in un’aria deliziosa, che recita: «Proprio come un gatto non smette mai di prendere un topo, le ragazze non smetteranno mai di bere il caffè». A questo punto si comprende perché nel 1750 Carlo Goldoni metta in scena La bottega del caffè; e perché i fratelli Verri chiamarono Il Caffè la rivista fondata nel 1764.
A ben vedere, però, non tutti gli scrittori apprezzano la scura bevanda. In Poesia e verità Goethe scrive: «il caffè mi dava una tristezza tutta particolare, e soprattutto quando lo consumavo con il latte dopo pranzo, mi paralizzava le viscere e sembrava annullarne le funzioni». Un’abitudine quella del caffellatte dopo mangiato che è tuttora in voga: al ristorante Da Mimmo raccontano che gli stranieri, in prima fila i tedeschi, chiedono il cappuccino a fine pasto, alcuni addirittura lo bevono insieme alla pizza. A proposito di usanze curiose: Delio Tessa scrive che a fine ’800 a Milano si sorbiva il capilèr, ovvero un caffè nero, lungo e bollente con una scorzetta di limone. Chi lo sa, magari funziona…
Perché non provi a scrivere qualche racconto sul caffè?
CON IL RISTORANTE
da Mimmo
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