In cucina, il ricordo di Luigi Meneghello

Il primo ricordo dello scrittore Luigi Meneghello ha a che fare con la cucina. Ecco le sue parole, come sempre a mezza via tra italiano e dialetto di Malo: «Sto in piedi sulla pietra del fogolaro (naturalmente spento e nettato dalla cenere), mi hanno sollevato da terra e posato lassù: sopra di me la napa del camino, odorato reame della fuliggine, chiuso da tole scorrevoli. Mi trovo come in una nicchia, spazi a misura di bocia, accanto al mio viso il viso affettuoso della Ernestina che sorride. In questo preciso momento per la primissima volta mi rendo conto che ci sono» (Libera nos a Malo, Rizzoli).
Ecco: proprio sul focolare spento, ripulito dalla cenere, il piccolo Luigi scopre di esistere. Lo hanno issato sulla pietra tiepida, e la bocca del camino pare un baldacchino profumato di fuliggine, protetto da lamiere scorrevoli, che cigolano appena. La cucina, allora, non è solo un luogo: è un palcoscenico di sguardi e di gesti, di parole e di rumori familiari. IL sorriso di Ernestina è il primo specchio in cui il bambino si riconosce. La luce alla finestra si mescola ai profumi di pane e di legna, al ritmo discreto di teglie e stoviglie.
Nei paesi, la cucina è il centro di gravità della casa: si mangia, si conversa, si traffica e lavora, si accolgono ospiti e segreti. Il fuoco — quasi sempre acceso — protegge le persone come un nodo invisibile. Meneghello bambino lo percepisce senza saperlo: quel focolare è radice e orizzonte, filo che raccoglie i giorni della sua vita. E in quell’istante, tra il tepore e il profumo di legna bruciata, capisce di essere davvero al mondo. Il suo mondo, in quel di Malo.
Che ne dici di raccontarci qualche tuo ricordo legato alla cucina? Vai alla sfida.

Il Cittadino di Lodi
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