Il ghiacciolo in filosofia? Semiotica del refrigerio

09/08/2025

Che cos’è un ghiacciolo? Non già un semplice corpo gelato trattenuto da un bastoncino, ma una manifestazione eidetica dell’estate, una concreta intuizione della freschezza sotto forma di idea aromatizzata a questo o quel gusto. Il ghiacciolo non è, bensì si dà, ovvero si offre al soggetto nella sua doppia natura: freschissima solidità e promessa di liquefazione.

In termini husserliani, si tratta di un noema gustativo che, pur essendo esperito nei suoi accidenti — forma, colore, sapore — rimanda a un’essenza superiore: la nostalgia dell’infanzia, in primo luogo, e il sollievo dal caldo, già che ci siamo.

Ora, se volessimo seguir le peste di Umberto Eco, potremmo azzardare che il ghiacciolo sia espressione di una peculiare semiotica del refrigerio: segno iconico e al contempo indicale del sollazzo termico. È dolce, ma non troppo; artificiale, ma in un modo che rassicura; colorato in mille modi, senza annoiare mai.

Il bastoncino, poi, è il suo “complemento oggetto”: ne consente l’accesso fenomenico senza scioglimenti traumatici, e sopravvive al consumo come residuo ontologico, spesso leccato anche da asciutto, per pura intenzionalità ludica. Il legno è essenza del gelato, dunque, ma anche assenza del medesimo, accidenti.

Infine, ogni ghiacciolo è una riduzione al sapore: sospendiamo sempre e comunque il giudizio sul suo valore nutrizionale e ci lasciamo guidare dalla coscienza di un’esperienza di freschezza che il cavo orale diffonde in tutto il corpo. Così, tra un morso e un brivido, si compie la sintesi trascendentale del refrigerio: e tutto diventa fresco, dolce, momentaneamente assoluto. In breve: l’estate si fa estasi.

E dopo tutta questa bella tiritera, che ne dici di comporre qualche racconto sul gelato?

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