Lo Zodiaco, la strada degli esseri viventi

18/05/2025

L’uomo può dirsi veramente tale quando si erge sulle gambe e, nel farlo, alza lo sguardo al cielo. Ora l’uomo non è più solo terra e sopravvivenza: il Sole sorge e tramonta, la Luna cambia misura, le stelle danzano in cielo. Come non pensare che lassù succeda qualcosa? Gli astri brillano, si muovono, si rincorrono, giocano: sono vivi e ci narrano storie e misteri.

Con gli occhi rivolti al cielo, le prime civiltà immaginano religioni, scienze, miti. La volta celeste diventa un libro, l’uomo si fa lettore. Le costellazioni vengono così raggruppate in animali, eroi, mostri, favole, leggende. I Greci le chiameranno “zodiaco”, ovvero strada degli esseri viventi, e i poeti daranno voce a quel firmamento: nelle Metamorfosi di Ovidio, ad esempio, il cielo si anima, si strazia, si vendica. Il firmamento è vita.

La scienza adotta uno sguardo diverso, governato dalla brama di imbrigliare il moto. Galileo osserva e dimostra, calcola e misura. Il cielo si fa numero, e si scopre silenzioso: non più scrigno di storie, non più oracolo. La poesia avverte il trauma: le stelle hanno forse perduto l’antico fascino e splendore? No, c’è sempre chi si ostina a far vivere il cielo. Giovanni Pascoli, ad esempio, che con i Canti di Castelvecchio ci regala una poesia fitta di stelle e pianeti, che il cosmo riverbera, grato.

Cielo e Terra dicono qualcosa
l’uno all’altro nella dolce sera.
Una stella nell’aria di rosa,
un lumino nell’oscurità.
 I Terreni parlano ai Celesti,
quando, o Terra, ridiventi nera;
quando sembra che l’ora s’arresti,
nell’attesa di ciò che sarà.

Giovanni Pascoli, L’imbrunire.

Qualche anno prima, una poesia di Walt Whitman racconta di un padre che rassicura la figlia in lacrime perché non vede più le stelle. No, le «nuvole rapinatrici» non avranno la meglio sulla meraviglia del cielo che, eterno e vivo, continuerà a generare racconti. E la poesia ne custodirà gelosamente la voce.

Non piangere, bambina, non piangere piccola mia,
lascia che i miei baci asciughino le tue lacrime,
le nuvole rapinatrici non avranno a lungo vittoria,
e non possiederanno a lungo il cielo,
divorano le stelle solo in apparenza,
Giove riemergerà, sii paziente,
guarda di nuovo un’altra notte,
le Pleiadi riemergeranno, sono immortali,
e tutte quelle stelle d’oro e d’argento splenderanno ancora,
le grandi stelle e le piccole risplenderanno ancora, per durare,
i vasti soli immortali e le eterne lune pensose splenderanno ancora.

Walt Whitman, Sulla spiaggia di notte, traduzione di Roberto Mussapi.

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