Il sabato pomeriggio a fare i maccheroni

Va da sé che in un ristorante molta della pasta che si serve è fatta in casa. In anni ormai lontani, per la famiglia Amaddeo fare la pasta fresca era proprio di un vero e proprio rito, che il titolare, Robi Amaddeo, racconta così: «Guarda, è uno dei ricordi più nitidi che ho. Al sabato pomeriggio per noi era un’abitudine trovarci tutti in cucina». Per tutti intendi i tuoi genitori più tutti voi fratelli? «Esatto, e magari si aggiungeva pure qualche dipendente. Insomma, eravamo come minimo una dozzina di persone».
E cosa facevate? «Chiacchierando e ridendo seduti attorno al tavolo di legno, arrotolavamo la pasta intorno ai ferretti, che potevano essere anche quelli per lavorare a maglia. Immagina quanta pasta tiravamo in quelle ore. Interi vassoi!». D’altronde al tempo la pastasciutta regnava sulle tavole degli italiani, faccio io. «Eccome, e la porzione era ben superiore agli 80-100 grammi di oggi. Era circa il doppio, ricordo piatti immensi e fumanti, perlopiù al pomodoro e con le melanzane, la specialità di nostra mamma Lina».
Quindi più che spaghetti servivate questa pasta fatta “ai ferri”? «Sì, era di semola, lunga e stretta, come quella che mangia Alberto Sordi in Un americano a Roma. Noi li chiamavamo maccheroni». Scusa Robi, faccio io, ma i maccheroni non sono un’altra cosa? «Sì, ma noi l’abbiamo saputo soltanto diversi anni dopo. Sono stati i nostri compagni di scuola bergamaschi a farci scoprire che c’era un altro formato di pasta secca, corta e forata, che portava lo stesso nome. I maccheroni che tutti noi oggi conosciamo». Mi sa che un po’ vi mancano i maccheroni di allora, gli dico. «Eccome. Ma sai cosa mi manca di più?» Dimmi. «Eh, mi mancano quei sabati. Il pomeriggio volava via, ed eravamo felici con poco».
Maccheroni o spaghetti, che aspetti a scrivere qualche racconto dedicato alla pastasciutta?

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