La mia prima volta su due ruote
La prima volta in bici è un classico. Il mio mezzo a pedali era un cosino blu ruote del 18, il minimo dei minimi, credo. L’età del ciclista, intorno ai 4-5 anni. Il luogo preposto, un corsello che si perdeva tra le case dove abitava mia nonna, quelle del piano Fanfani, c’è chi ha memoria per queste cose.
Istruttore mio padre, che mi dice: «Per andare in bici devi pedalare e guardare sempre dritto davanti a te». Semplice e chiaro. Sennonché la prima volta sono finito in terra sbucciandomi parecchio. Non ci volevo riprovare, volevo ancora le rotelle. Niente, mi fa lui, rotelle basta. A ’sto punto riprovo, ma la paura vince.
Solo verso sera, a cortile sgombro, provo di nuovo e il miracolo si compie. Perché andare in bici è così che funziona, prima niente e poi d’improvviso succede. Mi son guardato in giro per chiamare il mondo a testimone, e per la foga sono burlato in terra di nuovo.
Il giorno dopo, preso da sacro fuoco, mi sono spinto oltre quel piccolo mondo di case: dritto alla Santella dedicata ai bambini morti di tifo; là partiva una discesa memorabile, infinita, tutta sterrata. In fondo ci sono arrivato, sì, ma rotolando con la bici al seguito. La sera ero uno straccio, zoppicavo, il polpaccio era in fiamme.
Per fortuna mio nonno faceva il massaggiatore. Mi ha tirato in camera sua brontolando e mi ha spalmato chissà quale lozione. Ricordo ancora il polpaccio che, dopo l’azione di quelle mani, se ne va a spasso da solo, distante dalla sede abituale. E la bici? Ci ho messo qualche giorno per vincere la fifa.
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