La pizza dipinta tra Pompei e Vermeer
La focaccia sulla sinistra dell’affresco sembra proprio una pizza. Se non fosse che il dipinto ritrovato a Pompei ha perlomeno 2000 anni, potremmo addirittura riconoscere mozzarella e pomodoro, arrivati sulle nostre tavole parecchi secoli dopo. La verità è che la pizza come la conosciamo noi ha quasi un secolo e mezzo; sempre se diamo retta al racconto secondo cui nel 1889 il cuoco partenopeo Raffaele Esposito inventò la Margherita, dedicandola alla regina di Savoia in visita a Napoli.
In verità la pizza era già da tempo il cibo del popolo napoletano: poco costosa e molto nutriente, era perfetta per sfamare una popolazione che nell’800 in città era raddoppiata, da 400 a 800 mila abitanti. Così scriveva Matilde Serao ne Il ventre di Napoli (1884): «La pizza rientra nella larga categoria dei commestibili che costano un soldo, e di cui è formata la colazione o il pranzo di moltissima parte del popolo napoletano». Anche per via di questa origine popolare, Robi Amaddeo del ristorante da Mimmo è convinto che la pizza dovrebbe mantenere i valori di essenzialità che l’hanno vista nascere e innovare piuttosto sugli impasti: l’obiettivo è una maggiore digeribilità, come richiesto dalle esigenze odierne.
Ma torniamo a Pompei: facile che gli ingredienti di quella “pizza” fossero melograno, spezie varie, e forse qualche dattero. Una pizza dolce, insomma, una sorta di merenda dell’età antica. Per trovare pizze odierne nella storia dell’arte dobbiamo rivolgerci alla Pop Art e ad autori quali Andy Warhol e Roy Lichtenstein. E certamente ce ne saranno altri. Per conto nostro, ci siamo divertiti a immaginare come Vermeer l’avrebbe raffigurata. Niente male, la stessa pizzaiola non resiste alla tentazione di assaggiare… E adesso avanti tutta con i racconti in 7 parole, la sfida continua più appassionante che mai.
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